Linee di impegno sociale e civile in un discorso,
ancora attuale, di Moro del 1957
Il politico/cattolico nella comunità mondiale.
«L'uomo politico/cattolico nella comunità mondiale che si va creando».
Discorso pronunciato dall'on. Aldo Moro al "II Congresso mondiale per l'Apostolato del laici", svoltosi a Roma nell'ottobre dei 1957.
Moro era allora ministro della Pubblica Istruzione.
Questo testo é stato riprodotto
-dall’Osservatore Romano la settimana dopo il suo rapimento di via Fani (24 marzo 1978);
-da Avvenire il giorno dopo il suo barbaro assassinio (10 maggio 1978: pag. 7).
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In questo tempo, alla soglia di questi grandi eventi che modificano il mondo, l'uomo politico/cattolico è chiamato a svolgere il suo compito a ridisegnare i1 suo itinerario in rapporto a tali problemi, a rinvigorire la sua adesione al valori universali della vita.
C'è per l'uomo politico/cattolico innanzitutto un dovere di comprensione illuminata e serena della realtà, un impegno di penetrazione ed interpretazione di essa. E tanto maggiore è questo dovere e, diremmo, l'utilità di questa intelligente e caritatevole penetrazione, quando si tratta di fatti il cui disordinato svolgersi, il cui incerto scomporsi e ricomporsi sono come la realtà equivoca e provvisoria, che renda poi possibile il chiarimento, il superamento e la sintesi cristiana.
In una realtà che non è sempre conforme alle sue convinzioni ed alla sua fede, il politico/cattolico deve saper individuare, sulla diversità del comportamenti umani, i fattori operanti nelle aree più vicine agli interessi ed allo spirito cristiano, deve saper cogliere intelligentemente, lungo linee di più o meno sensibile convergenza, i motivi in qualche modo affini all'ispirazione cristiana, si che anche le forze da essa distanti possano essere convogliate verso le mete dell'universalismo cristiano. Non è dunque ammissibile, a nostro avviso, soprattutto sul terreno politico, sul quale occorre avanzare con prudenza insieme con larghezza di vedute, un ripudio pregiudiziale di tutto quanto, pur diverso nell'ispirazione e nel fine ultimo, rappresenti un'esperienza in sé positiva, un utile apporto alla grande opera alla quale si accinge, secondo la sua vocazione, il politico/cattolico.
Ma perché questa esperienza non diventi mediocre attitudine al compromesso o pericolosa indifferenza ideologica occorre pure tener fermi i principi e far procedere parallela alla penetrazione della realtà l’illuminazione delle idee.
La chiarezza e la distinzione dei presupposti e dei fini ultimi devono dunque accompagnare la prudenza e la condiscendenza (che possono anche essere considerate espressioni di carità) in quegli accostamenti pratici che appaiono possibili ed utili in vista della meta da raggiungere.
Insieme al dovere dell’intelligenza, v’è l’impegno della spiritualità operante del cattolico nel settore civile e politico: quell'animazione interiore di un lavoro spesso dispersivo ed esteriore che è la caratteristica propria del cristiano. Il cattolico é impegnato sulle dimensioni temporali, ma è altresì, proprio in esse, strettamente collegato all'opera sacerdotale, in un impegno apostolico che si compie nello spirito della Chiesa e consacra quasi il laico a ministro di Cristo.
È questo il senso della parola agostiniana: «Oh fratelli, quando udite il Signore che dice: "Dove sono io, ivi sarà pure il mio servo" non vogliate pensare soltanto ai vescovi e ai sacerdoti degni. Anche voi, ciascuno a suo modo, potete servire Cristo, vivendo bene, facendo elemosine, facendo conoscere a quanti vi è possibile il suo nome e il suo insegnamento. E cosi ogni padre di famiglia si senta impegnato, a questo titolo, ad amare i suoi con affetto veramente paterno. Per amore di Cristo e della vita eterna, educhi tutti quel di casa sua, li consigli, li esorti, li corregga con benevolenza e con autorità. Egli eserciterà cosi nella sua casa una funzione sacerdotale e in qualche modo episcopale, servendo Cristo per essere con lui in eterno» (Sant’Agostino: Commento al Vangelo di Giovanni. Trattato 51,13).
Ora esercitare nella propria casa «l’ufficio di sacerdote» significa vivere ecclesialmente la propria professione, la propria vita intellettuale, i rapporti di lavoro, l'impegno politico.
Questo spirito è quello col quale il cattolico investito di responsabilità entra nel mondo politico per portarvi non uno «spirito clericale» di dominio, ma un «officius clerici» di subordinazione e di servizio.
Rileggiamo attentamente la pagina nella quale il Sommo Pontefice Pio XII, il 24 dicembre 1944, presentava nel suo radiomessaggio natalizio il problema degli indirizzi con cui i cattolici partecipano alla vita e agli sviluppi della democrazia, con responsabilità dirette: «il sentimento profondo dei principi di un ordine politico e sociale, sano e conforme alle norme del diritto e della giustizia, è di particolare importanza in coloro che, in qualsiasi forma di regime democratico, hanno come rappresentanti del popolo, in tutto o in parte, il potere legislativo. E poiché il centro di gravità di una democrazia normalmente costituita risiede in questa rappresentanza popolare, da cui le correnti politiche si irradiano in tutti i campi della vita pubblica – così per il bene come per il male – la questione dell'elevatezza morale, della idoneità pratica, della capacità intellettuale dei deputati al Parlamento, è per ogni popolo in regime democratico una questione di vita o di morte, di prosperità o di decadenza, di risanamento o di perpetuo malessere.
Per compiere un'azione feconda, per conciliare la stima e la fiducia, qualsiasi corpo legislativo deve - come attestano indubitabili esperienze - raccogliere nel suo seno un'eletta di uomini, spiritualmente eminenti e di fermo carattere, che si confederino come rappresentanti dell'intero popolo e non già come i mandatari di una folla, ai cui particolari interessi spesso purtroppo sono sacrificati i veri bisogni e le vere esigenze del bene comune. Un'eletta di uomini, che non sia ristretta ad alcuna professione o condizione, bensì che sia l'immagine della molteplice vita di tutto il popolo».
La qualità che il Pontefice richiese e le responsabilità che attribuì agli uomini che nella democrazia tengono il pubblico potere sono altrettanto valide se portate sul piano delle responsabilità internazionali; é ancora l'augusta parola del Pontefice che ci illumina, nelle parole pronunciate in occasione del radiomessaggio per il Natale del 1941, sul «nuovo ordine internazionale». Mentre la guerra sembrava tutto travolgere, i1 Capo della Chiesa, incrollabilmente fedele al contenuto del messaggio cristiano presentava i presupposti di un nuovo ordine internazionale: «Tale nuovo ordinamento, che tutti i popoli anelano di veder attuato, dopo le prove e le rovine di questa guerra, ha da essere innalzato sulla rupe incrollabile e immutabile della legge morale, manifestata dal Creatore stesso per mezzo dell'ordine naturale e da lui scolpita nel cuori degli uomini con caratteri incancellabili: legge morale, la cui osservanza deve venire inculcata e promossa dall'opinione pubblica di tutte le Nazioni e di tutti gli Stati con tale unanimità di voce e di forza, che nessuno possa osare di porla in dubbio o attenuarne il vincolo obbligante.
Quale faro splendente, essa deve coi raggi dei suoi principi dirigere il corso dell'operosità degli uomini e degli Stati, i quali avranno da seguirne le ammonitrici, salutari e proficue segnalazioni, se non vorranno condannare alla bufera e al naufragio ogni lavoro e sforzo per stabilire un nuovo ordinamento. Riassumendo pertanto e integrando quel che in altre occasioni fu da noi esposto, insistiamo anche ora su alcuni presupposti essenziali di un ordine internazionale che, assicurando a tutti i popoli una pace giusta e duratura, sia fecondo di benessere e di prosperità».
E questi principi a cui il messaggio augusto si richiamava erano illustrati nel seguito del discorso: libertà e sicurezza dei popoli, tutela delle minoranze, ripartizione delle materie prime, discorso e patti internazionali, ricostruzione dei valori religiosi e morali, collaborazione tra i popoli.
Come si vede, l'attenzione è rivolta cosi alle grandi impostazioni di principio come ai laceranti concreti problemi della vita internazionale odierna.
Le straordinarie difficoltà, gli immensi ostacoli non si superano, senza una forte ispirata volontà riformatrice e senza, insieme, una vigile attenzione rivolta alle condizioni concrete dell'esperienza dei rapporti tra i popoli, alle cause psicologiche, economiche, sociali, storiche della frattura nella famiglia umana.
Naturalmente questa complessità di visione ha da essere presente, in una sintesi personale ed originale nel politico cattolico.
Alcune interessanti considerazioni si possono fare a questo punto in relazione alla posizione che il cattolico investito di responsabilità politiche assume nei confronti della comunità mondiale a seconda che, in vista di essa, operi nell'ambito della propria nazione o già in sedi internazionali.
Il riferimento a nostro parere, non può che essere generale. La vocazione universalistica del cristiano in sede politica si vive sia che si operi nel proprio paese sia che si operi al di fuori in posizione più rilevante sul piano internazionale.
La verità è che come c'è un modo diretto e più visibilmente efficace di promuovere la comunità della famiglia umana, cosi ce n'è uno indiretto, ma non privo di valore. Di ciò ci si rende conto, se si consideri, tra l'altro, che la formazione della comunità mondiale, come più alta e più rilevante espressione dell'incontro umano, è un processo continuo che è promosso, ed anzi proprio è reso possibile, da ogni prevalere delle ragioni di unità sulle ragioni di divisione, da ogni umana esperienza associativa e quindi in particolare da quella importantissima che si manifesta nel settore politico statuale. Di quest'ultima del resto già all'inizio di queste considerazioni abbiamo rilevato, pur avendo presenti i rischi insiti nell'orgogliosa pretesa di autosufficienza dello Stato, la straordinaria importanza come una vasta area d'incontro umano, certo esso ancora limitato, ma di dimensioni imponenti e di garantita attuazione. Il politico perciò che con spirito cristiano serve la sua comunità nazionale e, pur guardando più lontano, contribuisce intanto ad approfondire tutte le ragioni di unità e tutti i valori di verità che sono in quella pur limitata esperienza, serve davvero la causa della unitaria famiglia umana nello spirito del cristianesimo.
Il passaggio dalla nazione alla comunità internazionale e infine alla comunità mondiale non è rinnegamento, non è un cominciare di nuovo, ma é appunto un continuare, un rettificare, un perfezionare. Quanto più perfetta sarà l'unità conseguita nell'organismo nazionale, tanto più facile sarà il passaggio alla solidarietà supernazionale, tanto meno sarà subita la tentazione dell'unilateralità e della particolarità.
Per questa profonda innegabile interdipendenza non vi è dunque possibile servizio alla propria comunità che non sia al tempo stesso servizio reso dal politico, dal cristiano alla comunità umana senz’altro.
Il politico/cattolico nell’ambito nazionale è dunque per sua natura responsabile ed accorto mediatore nello spirito della verità, nella visione delle ragioni universali della vita, mediatore tra l’unità parziale, che ha pure il suo significato, e l’unità totale: promotore così dell’unità totale che è ragione suprema di verità, e salvatore in qualche misura e nei limiti del giusto di quella unità parziale che ha le sue giustificazioni di intensità, di più agevole realizzabilità, di rispondenza al faticoso e difficile processo storico che porta dal particolare all'universale.
Il servizio alla comunità mondiale è naturalmente più intenso quando la posizione di responsabilità politica sia assunta direttamente nell’ambito di essa. Ma anche qui non può certo mancare una posizione prudente e comprensiva nei confronti di tutti gli elementi nei quali si articola e,dai quali risulta la comunità mondiale: anche qui emerge una posizione mediatrice che contribuisce a dare all'esperienza mondiale universale il suo naturale e pieno contenuto. Questa prudenza comprensiva, umana, caritatevole, sia nel fare la comunità sia nella comunità mondiale già costruita, serve a chiarire ancora una volta il duplice impegno del politico/cattolico in vista della grande impresa. Poiché si tratta di un cristiano, questo è un impegno spirituale; ha lo slancio dello spirituale, ha la capacità emotiva e il sigillo di perfezione dello spirituale. Poiché si tratta di un politico, questo è un impegno politico, è cioè prudente, graduale, concreto, perfettibile. In realtà sul politico/cattolico incombe una grande responsabilità: lo slancio e l'ispirazione debbono animare, ma non turbare il lento, faticoso cammino delle realizzazioni storiche sul terreno aspro della politica.
La comunità mondiale ha bisogno di molte forze dello spirito impegnato a generarla perennemente dal fondo della coscienza umana, dalla vocazione di pace e di ordine che è nel cuore degli uomini.
E in certo senso essa vive puntualmente perfetta in ogni coscienza che si apra alla vita. Ma è lungo e duro il cammino della storia, il progredire ed adeguarsi delle Istituzioni, lo strutturarsi nel tempo, a poco a poco, della famiglia umana. Di questa lentezza, di questa gradualità, di questa imperfezione, ma anche di questa concretezza, nella quale si afferma giorno per giorno l'unità dei popoli, è autore e partecipe il politico che costruisce, pietra su pietra, l'edificio della concordia umana. Egli conosce la tristezza del misurare quanto sia lenta, imperfetta, suscettibile di ritorni l'opera degli uomini nel difficile cammino della storia; ma non gli è ignota la gioia del riconoscere il valore positivo, costruttivo, nella sua gradualità di questo lavoro. L'imperfezione e la lentezza sono esse pure una testimonianza resa alla verità: un'attesa del regno di Dio nella casa degli uomini concordi; un trionfo dello spirito nella storia umana.
Aldo Moro
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